Quotidiano on line (iscritto nel registro del Tribunale di Ancona, 11 aprile 2019, REG. 5/2019). Direttore responsabile: Lino BELLAGAMBA (iscritto dal 20 febbraio 2019 nell'elenco speciale dell'Ordine dei giornalisti delle Marche).

FREE SOCIETÀ “IN HOUSE”

Ha natura pubblica.

«Ed invero, quanto alla natura giuridica delle società in house e all’autonomia dei suoi organi, possono annoverarsi due orientamenti, compendiati nel parere del Cons. St., comm. spec., n. 438 del 16 marzo 2016.

Un primo orientamento, seguito dalla prevalente giurisprudenza della Corte di Cassazione, ritiene che la società in house non sia un vero e proprio soggetto giuridico mancando il requisito dell’alterità soggettiva rispetto all’amministrazione pubblica. In particolare, si è rilevato che “ciò che davvero è difficile conciliare con la configurazione della società di capitali, intesa quale persona giuridica autonoma e distinta dai soggetti che in essa agiscono e per il cui tramite essa stessa agisce, è la totale assenza di un potere decisionale suo proprio, in conseguenza del totale assoggettamento dei suoi organi al potere gerarchico dell’ente pubblico titolare della partecipazione sociale”. Ne consegue che la società in house “non pare invece in grado di collocarsi come un’entità posta al di fuori dell’ente pubblico, il quale ne dispone come di una propria articolazione interna”. Essa “non è altro che una longa manus della pubblica amministrazione, al punto che l’affidamento pubblico mediante in house contract neppure consente veramente di configurare un rapporto contrattuale intersoggettivo (….); di talché l’ente in house non può ritenersi terzo rispetto all’amministrazione controllante ma deve considerarsi come uno dei servizi propri dell’amministrazione stessa”. Da qui la conclusione netta: “il velo che normalmente nasconde il socio dietro la società è dunque squarciato: la distinzione tra socio (pubblico) e società (in house) non si realizza più in termini di alterità soggettiva”, con configurabilità soltanto di un patrimonio separato nell’ambito di un’unica persona giuridica pubblica (Cass. civ., S.U., 25 novembre 2013, n. 26283; 10 marzo 2014, n. 5491; 26 marzo 2014, n. 7177; 9 luglio 2014, n. 15594; 24 ottobre 2014, n. 22609; 24 marzo 2015, n. 5848; Cons. St., Ad. plen., 3 marzo 2008, n. 1).

Un secondo orientamento, seguito dalla prevalente dottrina, ha rilevato, invece, come la società in house debba considerarsi una vera e propria società di natura privata dotata di una sua autonoma soggettività giuridica. L’art. 2331, comma 1, c.c. prevede che con l’iscrizione nel registro delle imprese «la società acquista personalità giuridica». Sussiste, pertanto, anche l’esigenza di tutelare i terzi e i creditori che, instaurando rapporti con la società, lo fanno sul presupposto che essa abbia una propria autonoma soggettività. In questa prospettiva, la ricostruzione della Cassazione viene criticata e in ogni caso circoscritta, alla luce di alcune affermazioni contenute nella stessa sentenza, soltanto al tema del riparto di giurisdizione.

Va rilevato, altresì, che il d.lgs. n. 175 del 2016, T.U. in materia di società a partecipazione pubblica – applicabile ratione materiae, dato che il concorso è stato bandito dall’I.N.P.S. in data 27 aprile 2018 – conferma che la risposta fornita dall’Amministrazione come corretta, non può essere considerata tale in assoluto. Il T.U. ha, infatti, ricondotto la disciplina delle società a partecipazione pubblica all’ordinario regime civilistico (art. 1, comma 3, T.U.) ed ha precisato che le società in house sono regolate dalla medesima disciplina che regolamenta, in generale, le società partecipate, ad eccezione, quanto alle prime, della giurisdizione della Corte dei Conti per il danno erariale causato dai loro amministratori e dipendenti (Cass. civ., S.U., 1° dicembre 2016, n. 24591).

Quanto, infine, al tema della partecipazione dei privati alla società in house – richiamato dall’appellante a sostegno delle proprie tesi – risultano necessarie alcune precisazioni.

Con la direttiva 2014/24/UE, è stata ammessa una forma di partecipazione di capitali privati all’in house, sussistendone due connessi presupposti. Il primo è che le partecipazioni siano “prescritte dalle disposizioni legislative nazionali”. Il secondo è che deve trattarsi di “forme di partecipazione di capitali che non comportano controllo o potere di veto” e che “non esercitano un’influenza determinante sulla persona giuridica controllata”.

In attuazione di tale direttiva, l’art. 5, comma 1, lett. c), d.lgs. n. 50 del 2016, ha ammesso la possibilità di forme di partecipazioni private, purché previste dalla legislazione nazionale. L’art. 16, comma 1, d.lgs. n. 175 del 2016, considera ammessa una partecipazione al capitale sociale dei privati a condizione che la stessa sia prescritta da una disposizione di legge nazionale.

La differenza semantica tre le due disposizioni nazionali (previste-prescritta) ha fatto ritenere che non occorra che la partecipazione sia “prescritta” ma è sufficiente che sia consentita.

Tali considerazioni – che pure hanno un qualche fondamento – non considerano, però, il dato positivo, peraltro conseguente ad una fonte (il Testo unico sulle società a partecipazione pubblica) che si pone quale equiordinata alla precedente (Codice dei contratti) ma prevalente in quanto lex posterior. D’altro canto l’espressione “prescritta” è esattamente quella contenuta nella direttiva comunitaria.

Dunque, secondo l’interpretazione data da questo Giudice, la norma in esame non ha inteso autorizzare in generale la partecipazione dei privati ma ha rinviato alle specifiche disposizioni di legge che le “prevedono”. Tale forma di rinvio deve però essere fatto a disposizioni di legge che “prescrivono” e dunque impongono la partecipazione e non anche a quelle che genericamente “prevedono” la partecipazione. La prescrizione deve attuarsi mediante una chiara esplicitazione delle ragioni che giustificano la partecipazione di privati nella compagine societaria (Cons. St., comm. spec., n. 438 del 16 marzo 2016; id., sez. I, 7 maggio 2019, n. 1389).

In sintesi, da ciò si ricava che l’art. 5, d.lgs. n. 50 del 2016, è una formulazione che rimanda ad una successiva norma di legge che espressamente prescriva la partecipazione dei privati alla società in house e, soprattutto, che ne stabilisca le modalità di partecipazione e di scelta del socio. Tale norma pone una previsione di carattere generale e, dunque, nell’ordinamento interno, fino a quando non ci sarà una legge che attui tale previsione, deve ritenersi preclusa ai privati la partecipazione alla società in house dato che, diversamente opinando, non sapremmo né in che percentuale possano partecipare, né come debbano essere scelti. Questo è ciò che porta a distinguere le società in house dalle società miste, per le quali è disciplinata una partecipazione mista di capitale pubblico-privato.

(…)

E, infatti, non è erroneo sostenere che la società in house è sempre pubblica.

I recenti sviluppi normativi non hanno impedito, alla prevalente giurisprudenza, di continuare ad equiparare la società in house ad un “ufficio interno” dell’ente pubblico che l’ha costituita e, dunque, di escludere un rapporto di alterità sostanziale tra l’ente e la società. La configurazione delle società in house alla stregua di articolazioni interne alla P.A. giustifica che l’attività dell’ente e dei suoi organi non sia riconducibile ad un soggetto privato dotato di una autonoma soggettività ma resti sostanzialmente imputata alla P.A. medesima.

Non è, altresì, erroneo sostenere che la società in house non abbia un organo amministrativo autonomo.

Infatti, chi sostiene la natura pubblica della società in house ritiene, altresì, che i vincoli gerarchici cui sono assoggettati gli organi della società nei confronti dell’Amministrazione di riferimento impediscono che questi siano investiti di un mero munus privato, rendendo invece configurabile un vero rapporto di servizio. (v. da ultimo, Cons. St., sez. I, 7 maggio 2019, n. 1389, Cass. civ. S.U., 27 dicembre 2019, n. 34471; id. 11 settembre 2019, n. 22712; 21 giugno 2019, n. 16741)» (Cons. Stato, III, 25 febbraio 2020, n. 1385).

 

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